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Cancellato il pranzo con un’amica per accompagnare la suocera dalla vedova di un caro amico nato al cielo ieri, proprio come San Giovanni Paolo II. I miei piani per la giornata sembrano oramai condannati. Prima stazione.

La carico sulla macchina e la accompagno in banca per una commissione, non c’è posto e, come al solito, la mia fretta tradisce i miei piani: mi sono dimenticata il pass per i disabili. Mi fermo davanti alla banca in malo modo, l’aiuto a scendere, corro a casa a recuperare il pass per i disabili. Torno a riprenderla, appena in tempo, con il pass e la colomba per il personale dell’agenzia come richiesto da lei.  Seconda stazione.

Andiamo a Milano, non c’è parcheggio, la lascio al portone e vado a parcheggiare altrove. Salgo. Bianca è caduta in una profonda tristezza, non si da pace, il suo Francesco l’ha lasciata prima di lei, erano d’accordo di partire insieme. Terza stazione.

Andiamo a trovarlo, bello sereno nel suo sonno eterno. Uomo d’altri tempi, dottore con amore che parte a novant’anni per fare la Pasqua con il Signore. L’eterno riposo dona a lui, recitiamo per tre volte io, mia suocera, la moglie e le figlie. Cinque donne a vegliare per lui. Quarta stazione.

Tornate in sala parliamo. Cerco di aiutare facendo notare che la data della nascita in cielo non è meno importante di quella della nostra nascita in terra e che è una grazia essere sepolti nello stesso giorno del Signore, nel Venerdì Santo. Le figlie si lasciano andare su queste considerazioni, un momento di sollievo in mezzo a questo dolore. Quinta Stazione.

Partiamo, direzione Clinica Maugeri per la riabilitazione. Arrivate alla clinica la lascio davanti al cancello, vado a parcheggiare e la raggiungo in reparto. Mentre la aiuto a spogliarsi, un giovane dottore con un bel sorriso stampato in faccia mi dice “la lasci a noi” e lei immediatamente fa un dono a chi la aiuta con gentilezza a superare la fatica, porgendoli i muffins fatti in casa.  Sesta stazione.

Un altro signore arriva, attaccato ad un respiratore e con la sedia a rotelle spinta dalla moglie, “guarda chi si rivede”, dicono coloro che lo stanno aiutando a rialzarsi. Settima stazione.

Mentre cammino osservo altri pazienti che girano i corridoi facendo esercizi. Braccia che si alzano, ginocchia che si piegano. Cristi che cadono e si rialzano, Cirenei, Marie e Veroniche. E ad un tratto mi risuonano le parole di Gesù,  quasi fossero rivolte a me in quel esatto momento, “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli”. Ottava stazione.

Sento che questa volta hanno un significato del tutto nuovo, cadono in me diversamente. Nona stazione.

E vedo con altri occhi quella processione di ammalati, semi nudi con occhi lucidi, che probabilmente si sentono spogliati di tutta la loro dignità, con altri occhi.   Decima stazione.

Parenti che li sorreggono, magari sentendosi incollati alla loro sofferenza come il Cristo era inchiodato alla Croce. Undicesima stazione.

E mentre penso a tutto questo, realizzo la grandezza del Signore. Realizzo che è proprio con la sofferenza nostra e di chi amiamo, proprio quando decidiamo, anche di mala voglia, di far morire il nostro io, anche solo per una mattina, per un’ora, per un attimo, e lo facciamo per amore, proprio li, lo incontriamo sulla Croce.  Dodicesima stazione.

Oppure quando lasciamo che li altri prendano il nostro corpo, portandoci magari dove nemmeno non volevamo, non per comodità, ma perché  siamo costretti. Quando il nostro corpo non ci aiuta più, quando abbiamo il costato ferito, le gambe piegate, rotte. Quando questo corpo martoriato non può che essere portato da altri. Anche lì, incontriamo Gesù. Tredicesima stazione.

E se ci sono persone che fanno ogni giorno ed in ogni parte del mondo queste Via Crucis Quotidiane, significa che esiste ancora amore nel mondo e nel cuore dell’uomo.  Anche se a causa del nostro orgoglio o della nostra accidia, non riusciamo più a piegare le ginocchia o non ci chiniamo per Nostro Signore in una Via Crucis il Venerdì Santo, Dio ci aiuta a piegare le ginocchia in ogni momento, se non per Lui, per il marito, per la moglie, per il padre, per la madre, per un figlio. E l’Amore che muove l’umanità accetta di rimanere nascosto nei nostri cari, e raccoglie ogni gesto sepolto dal dolore, per unirlo al sepolcro di Suo Figlio. Quattordicesima stazione.

E le parole di Gesù alle donne di Gerusalemme non sembrano più solo un ammonimento per quello che stava per succedere da lì a pochi anni alla loro città, ma una pegno: non piangere per Lui, che è già salvo, ma piangere gli uni per gli altri per salvarci. Piangete e sacrificatevi madri per i figli, per i figli dei figli,  figli per i padri, padri per le mogli perché, anche se non si è del tutto consapevoli, è come piangere per Lui. Perché questo era il piano, il Padre ha sacrificato il Figlio Unigenito per salvarci tutti. Il figlio si è lasciato caricare di ogni sofferenza umana possibile per poter portare tutti con Lui, dritti alla casa del Padre. Unita a Cristo, ogni nostra sofferenza, ogni nostro gesto d’amore, anche il più insignificante, ci porta, con Cristo, al Padre.

Santa Madre, deh, voi fate

Che le piaghe del Signore

Siano impresse nel mio cuor.

Buon triduo Pasquale a tutti!