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Stamattina mentre cercavo di mettere due parole in fila nella stessa lingua, sulla soglia di casa, pronti operativi, vestiti già alle 7.00 (diciamolo, è crudeltà) mio figlio mi guarda, mi dà un bacio e mi dice “grazie mamma”.

Io rimango li, basita, senza capirne il perché di quel grazie proprio in quel momento. Chiedo “grazie di che, amado?”. “Grazie di aver preparato tutte le mie cose di scuola”. Usciamo.

Prendo la macchina e comincio la mia strada verso Milano, attraversando i campi di grano turco e le risaie illuminate da quella luce che solo le prime ore del mattino sanno dare. E pensavo a quel grazie, pensavo che era un grazie bello perché fatto per una cosa quasi scontata. Si dà sempre per scontato che i genitori facciano certe cose per i propri figli. Si dà sempre per scontato che il sole sorga ogni mattino. E mi sono venute in mente le parole di Eric- Emmanuel Schmitt nel suo “Oscar e la dama in rosa”:

Era mattino.

Ero solo sulla terra. Era talmente presto che gli

uccelli dormivano ancora, che persino l’infermiera

di notte, la signora Ducru, aveva dovuto

schiacciare un pisolino e tu cercavi di fabbricare l’alba.

Facevi fatica, ma insistevi. Il cielo impallidiva.

Tingevi l’aria di bianco, di grigio, di azzurro,

respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi.

È stato allora che ho capito la differenza fra te e

noi: tu sei un tipo infaticabile! Uno che non si

stanca. Sempre al lavoro. Ed ecco il giorno! Ed

ecco la notte! Ed ecco la primavera! Ed ecco

l’inverno!(…)Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo

segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse

la prima volta.

E mi mise a cantare lodi a squarciagola in macchina.

E, fidatevi, dovete ringraziare di non essere stati con me in quel abitacolo, in quel momento.